LA CORTE DEI CONTI
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio  in  materia  di
 pensione  civile,  iscritto  al n. 6374/C del registro di segreteria,
 proposto dalla sig.ra De Lisi Iolanda,  elettivamente  domiciliata  a
 Palermo,  presso  lo  studio  dell'avv.  Francesco  Tinaglia  che  la
 rappresenta e difende, contro la Direzione provinciale del tesoro  di
 Palermo.
   Uditi  alla  pubblica  udienza  dell'8  ottobre  1997, il relatore,
 consigliere
  dott.ssa   Luciana   Savagnone,   l'avv.   Gabriella  De  Plano,  in
 sostituzione dell'avv. Francesco Tinaglia, ed il  rappresentante  del
 Ministero del tesoro, dott. Pietro Di Giovanni.
   Esaminati gli atti ed i documenti della causa.
                               F a t t o
   Con  sentenza  n. 194/95, la sezione giurisdizionale per la regione
 siciliana, in accoglimento del ricorso proposto dalla sig.ra De  Lisi
 Iolanda,  titolare  di pensione di riversibilita' e di trattamento di
 attivita', riconosceva  il  suo  diritto  alla  corresponsione  della
 indennita'  integrativa  speciale  sulla  pensione  a lei corrisposta
 dalla  Direzione  provinciale  del  tesoro   di   Palermo,   con   la
 rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulle somme dovute.
   Avverso   tale   pronuncia  la  Direzione  provinciale  del  tesoro
 proponeva appello, chiedendo  che  fossero    dichiarate  non  dovute
 l'indennita'  integrativa  speciale e la tredicesima mensilita' sulla
 pensione.
   Con sentenza n. 58/97, la  sezione  III  giurisdizionale  centrale,
 affermava che, in sostanza di trattamento di attivita' e di pensione,
 vigeva  il  divieto  di cumulo delle indennita' integrative speciali.
 Rilevava, poi, che l'elemento della buona fede nella percezione della
 somma addotta dalla ricorrente, non preso in considerazione dal primo
 giudice in quanto assorbito nella  piu'  ampia  pronuncia  favorevole
 all'ammissibilita'   del   cumolo,  avrebbe  acquistato  una  propria
 specifica e decisiva rilevanza ai fini della pronuncia    da  rendere
 sul ricorso proposto.
   L'accertamento  di  tale elemento, tuttavia,   attinente al merito,
 sarebbe  sfuggito  alla  valutazione  del  giudice  di  appello.   In
 definitiva,  quindi, accoglieva parzialmente l'appello proposto e per
 l'effetto  riaffermava  la  vigenza  del  divieto  di  cumulo   delle
 indennita'  in  questione; rinviava al giuidice di primo grado per la
 definizione del merito.
   Con atto depositato il  2  settembre  1997,  la  sig.ra    De  Lisi
 Iolanda,   rappresentata   e  difesa  dall'avv.  Francesco  Tinaglia,
 riassumeva, dinanzi a questa  Corte,  il  giudizio  e  chiedeva  che,
 stante  la sussistenza della buona fede nella percezione della somma,
 fosse dichiarata l'illegittimita' del recupero disposto.
   Con  memoria  depositata  il  19  settembre  1997,   la   Direzione
 provinciale del tesoro ha contestato l'assunto della ricorrente ed ha
 chiesto il rigetto della domanda.
   All'udienza   dibattimentale   l'avv.   Gabriella   De   Plano,  in
 sostituzione   dell'avv.    Francesco    Tinaglia,    ha    insistito
 nell'accoglimento  della domanda, il rappresentante del Ministero del
 tesoro, dott. Pietro Di Giovanni, ne ha chiesto il rigetto.
                             D i r i t t o
   Ai sensi dell'art. 105 del regolamento di procedura per  i  giudizi
 innanzi  alla  Corte dei conti, approvato con r.d. 13 agosto 1933, n.
 1038, quando in prima istanza la competente  sezione  giurisdizionale
 si sia  pronunciata soltanto su questioni di carattere pregiudiziale,
 su  queste  esclusivamente  si  pronunciano  in  appello  le  sezioni
 riunite.    Quando  invece  in  prima  istanza  la  sezione  si   sia
 pronunciata anche sul merito, le sezioni riunite possono conoscere di
 questo, oppure rinviare la causa al primo giudice.
   Secondo   l'interpretazione   che   di   tale   norma   hanno  dato
 costantemente  le  sezioni  di  appello,  sostituitesi  alle  sezioni
 riunite  quale  giudice  di  secondo  grado,  in  sede di giudizio di
 impugnazione  la  pronuncia  puo'  essere  limitata  alle   questioni
 pregiudiziali  o  investire  anche  il  merito,  definendo  cosi'  il
 giudizio, ovvero si e' ritenuto che il giudice di  secondo  grado,  a
 prescindere  dalla  esistenza  di  una questione pregiudiziale, possa
 pronunciarsi solo su una parte del merito, rimandando gli  atti  alla
 sezione  giurisdizionale  che  ha  emesso  la sentenza di primo grado
 perche' applichi il principio di diritto  affermato  dal  giudice  di
 appello e decida sulla restante parte della domanda.
   Nella  fattispecie  in  esame,  la  sezione  terza  giurisdizionale
 centrale ha modificato la  sentenza  di  primo  grado  affermando  la
 sussistenza  del  divieto  di  cumulo  tra  le indennita' integrative
 speciali  percepite  sul  trattamento  di  attivita'  e   su   quello
 pensionistico,  "rimettendo  la  causa  al giudice di primo grado che
 dovra'  pronunciarsi  sul  merito  della  vicenda".  In  particolare,
 poiche'  l'elemento della buona fede nella percezione della somma non
 era stato preso in considerazione dal giuidice  di  primo  grado,  in
 quanto    assorbito    nella    piu'   ampia   pronuncia   favorevole
 all'ammissibilita' del cumulo, il giudice di secondo grado, affermato
 invece il divieto di cumulo, ha rimesso gli  atti  a  questa  sezione
 giurisdizionale ai fini dell'accertamento di tale buona fede.
   In   definitiva,   quindi,   la   sezione   di   appello,   secondo
 l'interpretazione della norma come sopra riportata,  ha  deciso  solo
 una  parte    del  merito del giudizio, indicando al giudice di primo
 grado come esso dovra' essere definito.
   In proposito questa sezione ritiene di dovere chiedere una verifica
 sul piano della costituzionalita' della  disposizione  dell'art.  105
 del  regolamento  di  procedura  per i giudizi innanzi alla Corte dei
 conti, approvato con r.d. 13 agosto 1933, n. 1038,  che,  cosi'  come
 costantemente   interpretata, costituisce diritto vivente, alla quale
 il giudice a quo deve uniformarsi.
   Invero, come ha affermato la Corte costituzionale e' consentita  la
 richiesta del suo intervento sulla compatibilita' con la Costituzione
 di   un   indirizzo   consolidato  di  interpretazione  di  una  data
 disposizione costituente diritto vivente, essendo sufficente  che  il
 giudice    a    quo    riconduca    alla    disposizione   contestata
 un'interpretazione non implausibile di  cui  ritenga  di  dover  fare
 applicazione  nel  giudizio principale e sulla  quale nutra dubbi non
 arbitrari, ne' pretestuosi, di conformita' a determinati parametri di
 costituzionalita' (Corte, cost., 21 luglio 1995, n. 345).
   In particolare questo giudice ritiene che la norma  sopra  indicata
 sia  in  contrasto  con l'art. 101, comma secondo, Cost. che, secondo
 quanto affermato molte volte dalla Corte  costituzionale,  garantisce
 la  liberta'  e l'indipendenza del giudice, nel senso di vincolare la
 sua attivita' alla legge e solo alla legge,  in  modo  che  egli  sia
 chiamato  ad  applicarla senza interventi ed interferenze al di fuori
 di essa,  che  possano  incidere  sulla  formazione  del  suo  libero
 convincimento,  anche  se  non  esclude  che  il giudice possa essere
 assoggettato alle valutazioni che la legge da'  dei  rapporti,  degli
 atti  e  dei fatti, e al rispetto degli effetti che ne desume, quando
 cio' sia conforme al precetto costituzionale ovvero alle  regole  del
 procedimento  di  formazione graduale della pronuncia giurisdizionale
 (sent. n. 50 del 1970 e n. 234 del 1976).
   Quel  che, dunque, la legge non puo' fare e' introdurre vincoli che
 abbiano oggettivamente il solo o principale  effetto  di  ridurre  il
 giudice   a   mero   esecutore  della  decisione  assunta  da  altri,
 precludendo l'espressione del suo convincimento sulle questioni dalle
 quali dipende la soluzione della causa. Secondo il  diritto  vivente,
 la  sezione di appello della Corte dei conti, pur entrando nel merito
 del giudizio non lo definisce ma, esaminando solo alcuni  dei  motivi
 proposti  e  accogliendo, sotto tale profilo, parzialmente il gravame
 impone al giudice di primo grado una determinata soluzione, impedendo
 ogni autonomo giudizio. Da qui l'evidente  vulnus  del  principio  di
 indipendenza del giudice.
   In  proposito  e' opportuno sottolineare che l'attivita' svolta dal
 giudice di appello e' del tutto differente da quella esercitata dalla
 Corte di cassazione la quale, come e' noto, al contrario  dell'organo
 giudicante  di secondo grado, e' giudice della legittimita' e non del
 merito. Cosi' in quella sede, salvo il caso di improponibilita' della
 domanda,  nel  quale  si  fa  luogo  a   cassazione   senza   rinvio,
 l'accoglimento
  del  ricorso  per cassazione, per violazione o falsa applicazione di
 norme di diritto, comporta sempre il rinvio della causa al giudice di
 merito,  ancorche'  questi,  per  effetto  della   applicazione   del
 principio  del  diritto enunciato dalla Corte debba poi respingere la
 domanda.  Ma la cassazione con o senza  rinvio  dipende,  invero,  da
 tassative  norme  processuali,  non  da un potere discrezionale della
 suprema Corte,  la  quale  come  giudice  di  legittimita'  non  puo'
 emettere  pronunzie  di merito (Cass. civ., 30 gennaio 1985, n. 593).
 Peraltro, con la novella apportata dall'art. 66,  legge  26  novembre
 1990,  n. 353, all'art.  384, c.p.c. e' stato introdotto un principio
 di economia di giudizi, disponendo che la stessa Corte di  cassazione
 definisca  il giudizio ed escludendo che si faccia ricorso al rinvio,
 c.d. cassazione sostitutiva, nei casi in cui, dopo l'enunciazione del
 principio di diritto, la controversia debba essere decisa in base  ai
 medesimi  apprezzamenti  di fatto che costituivano il presupposto del
 giudizio di diritto errato, in tal guisa postulandosi che il  giudice
 del  merito  abbia  avuto modo di esprimere siffatti apprezzamenti ai
 fini di una specifica decisione.
   Poiche'   la   presente   causa   non    puo'    essere    definita
 indipendentemente  dalla questione di legittimita' costituzionale qui
 cennata, dalla cui soluzione deriva la permanenza dei notevoli limiti
 imposti a questo giudice.